giovedì 30 settembre 2010

Museo Vigliaturo - Acri - Segnalazione esposizione

Silvio Vigliaturo
“Amazzoni”

Sabato 9 ottobre 2010, in occasione della sesta edizione della Giornata del Contemporaneo organizzata dall’associazione AMACI, la suggestiva cornice di Palazzo Sanseverino, sede del MACA (Museo Arte Contemporanea Acri), si arricchirà di un’installazione di oltre trenta sculture in vetro, realizzate dall’artista Silvio Vigliaturo, rappresentanti le Amazzoni, con lance d’acciaio e variopinti scudi, anch’essi in vetro.
Le maestose e variopinte sculture fungono da vettori di messaggi appassionati e contemporanei che l’artista indirizza allo spettatore, come nel caso dell’Amazzone, che da sempre trova posto nella poetica di Vigliaturo, e che egli arricchisce di significati che la tramutano in una categoria umana del presente. l’Amazzone è uno dei più grandi risultati della modernità,  il simbolo della sua mescolanza più riuscita; è la donna che, in seguito a una lotta costante, è stata capace di cancellare quelle differenze che la separavano dall’uomo e che le erano state imposte da secoli di società maschiliste. Tuttavia non bisogna erroneamente pensare, come ci hanno insegnato la storia e l’epica, che l’Amazzone sia tale soltanto in guerra. L’intenzione di Vigliaturo attraverso quest’installazione è proprio quella di mostrare come la tempra della donna-guerriero non svanisca nelle parentesi di riposo, quando le armi vengono poggiate al terreno.


Evento:     Silvio Vigliaturo      “Amazzoni”
Curatori:   Massimo Garofalo e Andrea Rodi
Luogo:      MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)
                 Palazzo Sanseverino – Piazza Falcone, 1 – 87041, Acri (Cs)
Data:        Sabato 9 ottobre 2010 – Giornata del Contemporaneo
                l’installazione sarà esposta fino al 27 febbraio 2010
Orario:     da martedì a domenica, dalle 10 alle 13 e dalle 15 alle 19
Info:          tel. 0984953309

Ufficio stampa MACA
Tel. 0119422568

Cliccando sul link seguente potretre vedere il filmato realizzato in occasione dell’installazione delle Amazzoni
sul sacrato del Duomo di Chieri (To), che ha avuto luogo nel marzo scorso.




martedì 28 settembre 2010

Villa Manin propone Munch e la pittura nord europea


Nel suo progetto pluriennale dedicato alle Geografie dell’Europa, e dopo la prima tappa costituita dalla rassegna che indagava le relazioni tra la pittura francese della seconda metà del XIX secolo e la contemporanea pittura nella nazioni del centro ed est Europa, Villa Manin propone il suo secondo importante appuntamento. Per un progetto, nella sua interezza, volto a studiare alcune delle maggiori evidenze della pittura europea tra la metà del XIX secolo e il primo decennio di quello successivo.
Munch e lo spirito del Nord. Scandinavia nel secondo Ottocento vuole, per la prima volta in Italia, costruire il racconto di una storia che identifichi appunto lo spirito del Nord con la pittura in Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca. Specialmente dedicata al paesaggio, ma ben raccolta anche attorno al tema del ritratto e della figura, la mostra, composta di circa 120 dipinti provenienti specialmente dai musei scandinavi ma anche da alcuni altri musei sia europei che americani, si divide in cinque sezioni. Le prime quattro riservate alle scuole nazionali di quegli Stati, mentre la sezione di chiusura viene dedicata a Edvard Munch, con 35 opere in totale. Dunque una sorta di grande mostra nella mostra, prendendo in considerazione gli anni suoi di esordio vicini alla pittura dell’artista norvegese Christian Krohg già a partire dal 1881-1883 e poi i due decenni – l’ultimo del XIX secolo e il primo del XX – che ne hanno decretato l’universale fama e hanno creato quella sorta di sigla munchiana che caratterizza e sigilla quel darsi allo spazio interminabile del Nord così come è accaduto anche in letteratura.
Ma riandando alle scuole nazionali prima di Munch, alcuni dipinti a evidenziare, prima dello scavalcamento di metà secolo, la situazione della cosiddetta Golden Age in Danimarca, con le opere tra l’altro di Lundbye e P.C. Skovgaard. Così come in Norvegia una breve introduzione è riservata a Dahl, Balke e Gude; in Svezia a Larson, Berg e Wahlberg e in Finlandia a von Wright e Holmberg. Così da indicare, appunto attorno alla metà dell’Ottocento, il senso di una scoperta del vero naturale, che si affranca dalla nozione di paesaggio ancora post-settecentesco che, a parte alcuni casi di straordinaria qualità da Friedrich a Turner, rende non dissimili le varie nazioni europee in quella prima parte di secolo.
Poi la mostra prende il suo corso solenne, e così nuovo per l’Italia, dentro la seconda metà del XIX secolo, attenta a individuare attraverso la scelta dei dipinti quello sguardo che ha fatto del Nord un luogo non soltanto fisico ma anche dell’anima. E che quindi non può che trovare in Munch il suo logico e imprescindibile punto d’arrivo. Ma prima la schiettezza, la luminosità, il silenzio e il fragore del paesaggio nordico sono interpretazione che talvolta vira verso una problematicità che fa dei luoghi naturali un sentimento arcano e quasi primordiale. Questo senso del tempo fondo, la chiarità delle estati, la profondità delle notti invernali, il velluto del muschio dell’erba, il bianco dei fiori sotto il bianco delle lune estive, è quello che l’esposizione intende mostrare al pubblico italiano. Ovviamente grazie alla generosità dei principali musei di Norvegia, Svezia, Finlandia e Danimarca, che con larghi prestiti hanno consentito di poter tracciare un panorama del tutto esaustivo di una vicenda pittorica che da alcuni anni non cessa di affascinare, attraverso alcune mostre sia in America che in Europa, il più vasto pubblico degli appassionati. E in questo senso strumento imprescindibile sarà il catalogo di studio, al quale hanno collaborato i maggiori studiosi di quelle nazioni.
Ovviamente la mostra non fa mancare alcuno dei principali protagonisti, a cominciare, in Danimarca, da Ring, Philipsen, Syberg, Gottschalk e soprattutto Hammershøi. A quest’ultimo, la cui vicenda straordinaria venne definitivamente scoperta alcuni anni or sono grazie a una fortunata mostra parigina, è dedicata un’intera sala, comprendente alcuni paesaggi ma soprattutto i fascinosi interni. Per la prima volta esposte in Italia, le opere di Hammershøi stanno all’apice, tra fine Ottocento e primi anni del secolo successivo, di un percorso che nasce nella luce di cenere degli interni olandesi seicenteschi, ma che tutto trasforma entro la misura di grigi infiniti, che talvolta virano sugli azzurri pallidi. Dando il senso della solitudine di figure che in quegli spazi non si muovono ma restano sospese, come il tempo potesse effettivamente bloccarsi una volta per sempre. E non tornare più.
Per proseguire tra gli altri, in Norvegia, con Nielsen, Backer, Thaulow, Krohg, Skredsvig; e poi Larrsson, Nordström, Zorn, Jansson, Prince Eugen, Strindberg in Svezia; Edelfelt, Gallen-Kallela, Järnefelt, Churberg, Halonen, Thesleff in Finlandia. Con quelle caratteristiche pittoriche che mettono sempre al centro l’immagine dell’uomo nel grande spazio della natura incontaminata e quasi immisurabile. Entro quel gioco che fa vicini il sentimento romantico e un certo gusto simbolista, come per esempio è bene evidente nel grande artista finlandese Akseli Gallen-Kallela.
La parte finale dedicata a Munch, dove anche una decina di opere su carta costituisce il necessario contrappunto all’opera pittorica, tocca il suo senso più alto nella scelta che dei dipinti è stata compiuta, per essere messi, quei dipinti, in relazione con i pittori scandinavi che Munch precedono. E insomma per costituire, nel loro insieme, quel grande coro tra natura e problematicità della stessa che danno infine il senso vero e compiuto di questa mostra e fanno della Scandinavia una terra che è luce e notte insieme. Il massimo della luce e il massimo della notte.

Informazioni
SEDE ESPOSIZIONE
Villa Manin - Piazza Manin, 10
33033 Passariano di Codroipo (UD)

ORARI
Dal 25 settembre al 1 novembre: tutti i giorni ore 9-19
dal 2 novembre a fine mostra: Da lunedì a venerdì ore 9-18
Sabato, domenica e festivi ore 9-19
Chiuso 24, 25, 31 dicembre 2010
Il 1 gennaio 2011 ore 11-19

BIGLIETTI
Intero € 10,00
Ridotto € 8,00 : studenti unversitari con attestato di iscrizione, over 65 anni, gruppi solo se prenotati (minimo 15, massimo 25 persone con capogruppo gratuito)
Ridotto € 6,00 : minorenni e scolaresche solo se prenotate (con due accompagnatori a titolo gratuito).
Ingresso gratuito: bambini fino ai 6 anni, giornalisti con tesserino, accompagnatore di portatore di handicap
Per il diritto di prevendita, con esclusione delle scuole: € 1,50

VISITE GUIDATE
Prenotate per i gruppi (massimo 25 persone): € 120
Per le scuole (solo se prenotate, massimo 25 unità): € 50
Non prenotate: € 7 a persona SOLO in caso di disponibilità del personale

Con esclusione delle scuole, le visite guidate verranno effettuate con l'ausilio di un apparato microfonio e cuffie personalizzate. Questo servizio è compreso nel costo della visita guidata.
Le scuole che non si servono si persoale incaricato da Linea d'ombra Libri devono avvalersi del proprio personale docente.
Per i gruppi con guida propria l'affitto obbligatorio delle cuffie è di € 80.
Non sono consentite visite guidate se non autorizzate dalla Direzione.

Per i visitatori singoli è prevista la possibilità di noleggio di audioguide.

ALTRE INFORMAZIONI
La vendita dei biglietti viene sospesa 45 minuti prima della chiusura
Il servizio di guardaroba è gratuito e obbligatorio per borse, borsette e zaini di qualunque dimensione.
Accesso e servizi per i disabili
Non è consentito l'uso di cellulari, macchine fotografiche o di altri apparecchi elettronici all'interno della mostra. Tali apparecchi potranno essere introdotti in mostra solamente spenti.
Non possono essere ammessi all'interno della mostra passeggini (al servizio guardaroba sono previsti marsupi gratuiti per i bambini), ombrelli ed animali.

PRENOTAZIONI E INFORMAZIONI
Call center +39 0422 429999
Fax +39 0422 308272
biglietto@lineadombra.it
http://www.lineadombra.it/

ORGANIZZAZIONE
Linea d'Ombra
Strada di Sant'Artemio 6/8
31100 Treviso
Tel. +39 0422 3095
Fax +39 0422 309777
info@lineadombra.it
http://www.lineadombra.it/

giovedì 23 settembre 2010

Roberto Rampinelli

Sintesi critica
Qualsiasi criterio si configura come strumento fabbricato dall'uomo e non calato dal cielo: ne possono esistere di più o meno raffinati, di più o meno pertinenti, ma sempre di strumenti provvisori si tratta. Uno di questi, che al momento - e limitatamente ad un punto di vista - pare più di altri affidabile, ci è fornito da un concetto che riguarda parte della galassia semantica del verbo decidere e del suo sostantivo, decisione.
Se, in prima istanza, questa scelta può suscitare sorpresa rispetto all'opera di Roberto Rampinelli, ad una riflessione più attenta è possibile scoprire che essa si abilita a indagare alcuni aspetti influenti dell'opera che tematizza questa breve riflessione.
Il decidere non è mai gesto scontato e mai definitivamente riconducibile a una forma che avalli ciò che al momento si auspica: l'aleatorio è sempre in agguato e l'eterogenesi dei fini rende vana la ricerca di una rassicurante falsariga, che si ponga - a mo' di alveo naturale - a garanzia del pacifico prodursi degli esiti. Tra i molteplici significati, propri di questo termine impegnativo, due più di altri paiono manifestare una dinamica che li relaziona secondo un inquieto legame, in virtù del quale emerge qualcosa che non è tanto ascrivibile all'ordine del significato, quanto all'ordine del senso.
 Quando due dei momenti strutturanti la 'decisione' - la risoluzione connessa alla scelta e la separazione immanente al decidere - entrano in 'dialogo', può accadere qualcosa che, nella sua forma più rimarchevole e più inspiegabile, richiama le battute iniziali di La linea d'ombra di Conrad: "Questa non è la storia di un matrimonio. Non mi capitò così brutta. Il mio atto, pur avventato, ebbe piuttosto carattere di divorzio - quasi di diserzione. Senza alcun motivo di cui una persona ragionevole potesse rendersi conto abbandonai il mio lavoro - lasciai il mio posto - me ne andai dalla nave di cui al peggio si poteva dire che era un piroscafo e quindi, forse, non meritevole della cieca fedeltà che.. .". È noto che la decisione presa dal giovane ufficiale di marina non lo porterà a una carriera in terraferma come aveva progettato, ma - hors programme - a comandare una nave destinata a diventare oggetto allegorico, 'contenitore' di fragilità. Spazio di disperazione che vede distanziarsi sempre più il compimento del viaggio.
Ma l'approdo viene infine raggiunto - i naviganti allo stremo -; e questo segnerà l'indispensabilità della lotta per superare la prova come pedagogia della rinascita. La lotta, quando fa capo al senso, non è fonte di appassimento del corpo, fabbrica di relitti; ma è condizione di giovinezza. Giovinezza che permane soltanto quando entra in gioco un'arte: la consapevolezza che i travagli vanno affrontati, e che ci si deve fare strateghi per poterli affrontare. Soltanto così, ogni approdo si sottrae al déjà vu, e si fa sempre nuovo approdo.
Perché la scrittura di Conrad può aiutarci a comprendere meglio alcuni aspetti peculiari dell'opera di Roberto Rampinelli? Per quale motivo, in Conrad .come in Rampinelli, la decisione assume il ruolo di un possibile snodo orientativo per la leggibilità dell'opera?
Il risolversi a ... connesso al separarsi da ... non sono gesti riducibili all'inanità del vacuo e alla bizzarria del capriccio: non si prendono decisioni nell'ordine del senso facendosi condurre dal sussulto precipitoso, dall'accecante immediatezza dell'abbaglio. Pur nella consapevolezza che qualsiasi decisione, anche la più ponderata, può anche non rendersi garante - come mostra Conrad sin dalle primissime righe del suo libro -, diventa vitale pronunciare un no; che è un no al laisser-faire, all'acritico accomodamento quotidiano, a una visione del mondo unidirezionata; in sostanza, a quel neghittoso tenersi lontani dal 'viaggio' che, se da un lato, cautela dal rischio di 'mettersi in gioco', dall'altro, corre inconsapevole verso la bonaccia drammaticamente indicata da vele prive di quel respiro che fa nascere le cose. Il fatto è che per conoscere - e per conoscersi - occorre decidere di rischiare; e il rischiare in vista del senso non è una qualsiasi decisione pomeridiana, ma è la decisione.
Il tratto infantile che caratterizza buona parte del nostro modo di vivere è dato dalla perdita della capacità di decidere: si scambia per decisione l'improvvisare lì per lì, l'assecondare di getto il capriccio, il credere che sia possibile diventare pratici del mondo con precipitosa bramosia, quella stessa che priva le cose della loro essenza.
Da qui la necessità di compiere un salutare passo indietro per indagare i nostri modi di vedere e di costruire la realtà, per evitare di ridurre tutto a 'cosa'. E proprio questo pare voler dire la pittura di Rampinelli, o almeno un côté rilevante del suo non semplice discorso. Il decidere per Rampinelli è il risolversi a tracciare i camminamenti secondo i suoi passi, senza andare per sentieri che fanno parte di un ormai consolidato repertorio cartografico. Tutto è reale nella sua pittura, ma nulla rimanda al realismo, alla concretezza di elementi rinvenibili nella fisicità del quotidiano. 
 L’opera nasce da un decidere, che porta a camminare sull'impalpabilità di un filo. Esile legame che può anche indurre in equivoco l'osservatore: il vedere affrettato e troppo voglioso di trovare referenti disancora dal quadro e porta all'esterno, a vagare in cerca di somiglianze che nulla hanno a che vedere con il discorso che si articola nell'opera. Ma a un più attento guardare, esiste qualcosa all'interno dei quadri di Rampinelli che segnala come gli oggetti presenti non abbiano consistenza, se non come oggetti linguistici. Lo sguardo non frettoloso - quello che decide di compiere il 'passo indietro', di non cercare somiglianze esterne - viene soccorso dalla natura dei contesti presenti nei quadri di Rampinelli: vere e proprie grammatiche rivelative del percorso, 'macchine' contestuali che fungono da 'contenitori' non passivi, dal momento che dialogano con gli 'oggetti' che l'artista ha sentito necessario collocare lì, a soddisfare le sue esigenze discorsive di natura poetico-allegorica. Nell'opera di Rampinelli la costruzione di contesti assume le fattezze di un"ambientazione' del tutto svincolata da quello che logica esperienziale vorrebbe. Se non in rarissimi casi - da indagare con altre curvature di discorso - gli 'sfondi' o i piani sui quali poggiano gli 'oggetti' non sono mai individuabili nello studiato aspetto mimetico del paesaggio, o nella domestica conformazione di un ripiano A ben guardare, sono macchie; macchie discorsive che dicono altro e destinate ad altro.
Ma se l'oggetto fosse dipinto con intenzioni naturalistiche, potrebbe forse avere qualche margine di credibilità nel poggiare sul 'nulla' di una macchia di colore?
In realtà, una macchia svela la sua natura di elemento di linguaggio; motivo per cui, per coerenza di senso, anche l'oggetto viene ad assumere la consistenza ponderale della 'parola'.
A questo punto, diventa illuminante adottare e adattare una riflessione di Jean Ricardou, per dire che l'esprimersi di Rampinelli non viene a configurarsi come pittura di una narrazione, ma come narrazione di una pittura.
Giuseppe Ardrizzo


 Biografia ed esposizioni


Rampinelli è nato a Bergamo, vive e lavora tra Milano, Urbino e Amer (Catalogna - Spagna).
Ha frequentato la Scuola Superiore d'Arte del Castello Sforzesco di Milano e i Corsi Internazionali di Tecnica dell'InCisione di Urbino, sotto la guida di Carlo Ceci per la litografia e di Renato Bruscaglia per l'incisione.

MOSTRE

1997
Arte Fiera - Bologna
Galleria Forni- Bologna
Masserinl Arte - Bergamo
111 Biennale Nazionale dell'Incisione - Acqui Terme
Galleria Stefano Forni - Bologna
111 Biennale Grafica Nazionale dell'Incisione "Città di Castelleone"
V Biennale d'Arte "Città di Cremona"
"Estampa" - Madrid (Spagna)
Esteban D - Tarragona (Spagna)

1998
"Omaggio a Walter Lazzaro", Galleria Corsi - Milano
PiÙ vero del vero: Iconografie della mente - Calcio (Bergamo) Gallena
Stefano Forni - Bologna
Arte Fiera - Bologna
Contemporary Art Centre - Utrecht (Olanda)
Libreria Bocca - Milano
"Collettiva Nazionale" - Mole Vanvitelliana - Ancona
Stamperia G.F. - Urbino

1999
Galleria Forni - Milano
Mari Arte Contemporanea - Imbersago (Lecco)
"Memorie" Palazzo Pisani-Moretta - Venezia 1999
Arte Fiera - Bologna
Galleria Forni - Milano
Libreria Bocca - Milano
Contemporary Art Center - Utrecht (Olanda)
1979-1999 vent'anni "per" Urbino - Casa natale di Raffaello - Urbino "Un segno lungo un secolo" Fondazione Repossi - Brescia 2000
Galleria Ducale - Vigevano
Galleria Sal amo n - Milano
Premio "Donato Frisia" - Merate
Galleria Studio IO, S. Martino d'Argine - Mantova Premio "Leonardo
Sciascia" - Milano
"Orizzonti" Fondazione GIORGIO ClNI - Venezia 2001
Contemporary Art Center - Utrecht (Olanda) Libreria Bocca - Milano
Galleria Salamon - Milano
Galleria Fògola - Torino

2002
Libreria Bocca - Milano
Galleria Del Tasso - Bergamo
Mimesis et inventio - Panorama Museum Bad Frankenhausen (Germania)
Galleria Ducale - Vigevano
Centro di Studi Italiani in Zurigo (Svizzera)

2003
"Contaminazioni" Galleria Agfa - Milano
Galleria Studio 10, S. Martino d'Argine - Mantova
Libreria Bocca - Milano
Concept Art Gallery - Pittsburgh (USA)
"Lagune" S. Clemente Palace - Venezia

2004
"Canti di terra" Galleria Del Tasso - Bergamo
111 Biennale dell'Incisione Italiana Contemporanea - Campo basso
Contemporary Art Center - HJ Laren (Olanda)
Concept Art Gallery - Pittsburgh (USA)
Galleria Salamon - Milano Antiquaria

2005
Galleria SantaMarta Arte Moderna e Contemporanea - Milano Istituto
Italiano di Cultura - Wolfsburg (Germania)
Contemporary Art Centre - HJ Laren (Olanda)
Sa Biennale di Grafica - Castelleone (Cremona)
30 Biennale di Grafica - "Premio Santacroce"

2006
Galleria Salamon - Milano
Galleria Sant'Angelo - Biella
MIART - Milano
Gallena Forni - Bologna
Galleria Gabriele Cappelletti - Milano
Galleria Arianna Sartori - Mantova
Concept Art Gallery - Pittsburgh (USA)
"Generazione Anni 40" - CivIco Museo "Pansi Valle" - Maccagno (VA)

2007
"Stage" - Seaside Florida (USA)
Concept Art Gallery - Pittsburgh (USA)
"Generazione Anni 40" - Spazio GuiCCIardini - Milano
"Generazione Anni 40" - Museo d'Arte Moderna - Gazoldo (M N) "per vedere
lontano/per guardare vicino" con Ray Gindroz - Pienza (Siena)
Galleria Sant'Angelo - Biella - (Arte & Natura)
Galleria Antonella Bensi - Milano

2008
Galleria 44 - Torino
Acquisizloni 2008 - Museo ParisiValie -Maccagno (VA)
Alba D'arte - Arte Parma
Civica Raccolta Stampe A.Bertarelii - Castello Sforzesco - Milano (Grafica)
IX Biennale Grafica - Città di Castelleone
Museo di Amer (Girona) Spagna
Galleria Salamon - Fiera Verona
Galleria Alba D'arte - Brescia

2009
Provincia di Bergamo Sala Manzù "La linea d'ombra" – Bergamo

sabato 11 settembre 2010

Il volto dell'Ottocento. Da Canova a Modigliani

Cento ritratti, cento storie, cent’anni di straordinaria arte, da Canova a Modigliani
Padova, Palazzo Zabarella dal 2 ottobre 2010 al 27 febbraio 2011
La mostra intende ripercorrere la straordinaria vicenda, in gran parte ancora inesplorata, del genere artistico del ritratto nel corso del XIX secolo. Genere nel quale, più che in altre forme di pittura e in altre tecniche, si sono manifestati durante l’Ottocento i mutamenti del gusto, anche grazie ai rapporti intercorsi tra gli italiani e le schiere di stranieri che hanno attraversato la penisola, soggiornando a Napoli, Roma, Firenze, Milano e Venezia.
Una prima, decisiva rivoluzione nel genere del ritratto, elaborata sul versante teorico da figure dell’importanza di Francesco Milizia o, in ambito internazionale, dell’inglese Joshua Reynolds, si manifestò con agli inizi del secolo, nel pieno del neoclassicismo, quando sotto le insegne del “Bello Ideale” di Canova veniva sperimentata una sintesi naturalistica che fosse in grado, attraverso nuove sintesi formali, di restituire lo spessore psicologico-intellettuale degli effigiati e di rappresentare, anche idealmente, i protagonisti politici e intellettuali della nascente modernità.
Questi radicali mutamenti, che coincidono storicamente con l’età napoleonica, ebbero i loro portavoce in artisti dal prestigio di Antonio Canova, Lorenzo Bartolini, Bertel Thorvaldsen, Jean-Auguste-Dominque Ingres, Andrea Appiani, Giuseppe Bossi, Pelagio Palagi, e i numerosi stranieri presenti in Italia.
Con le istanze neoclassiche vennero riformulate in un’accezione assolutamente inedita le varie tipologie del ritratto, da quello d’artista a quello intellettuale, da quello ufficiale a quello ambientato, reimpostati in nome di una sintesi espressiva che sapesse cogliere, con pochi mezzi che talora si fermano al non finito, l’anima dei ritrattati.
Questa impostazione venne mantenuta anche durante la stagione romantica, quando, persistendo lo strumento visivo della imitazione selettiva della natura e della semplificazione formale dell’effigie, il ritratto avrebbe delineato più intimi stati sentimentali e dello spirito, proprii della cultura più esclusiva e riservata della Restaurazione. E così, mentre ad opera di critici come Leopoldo Cicognara, Antonio Neu-Mayr (entrambi veneti), Carlo Tenca o Giuseppe Rovani si avviava una riconsiderazione teorica del genere, artisti come Francesco Hayez, Pelagio Palagi o Lorenzo Bartolini, figure di respiro nazionale, come Giovanni Tominz a Trieste, Gaetano Forte a Napoli, Pietro Ayres a Torino, Giuseppe Bezzuoli a Firenze, Adeodato Malatesta in Emilia, Placido Fabris a Venezia, Giuseppe De Albertis e Molteni a Milano, il russo Brjullov itinerante per l’Italia diedero consistenza visiva a questa connotazione intimista del ritratto o, su un altro versante altrettanto emblematico, alle effigi mondane e sfarzose della nuova classe borghese.
Queste immagini sono rimaste nell’immaginario collettivo dell’Ottocento e sono ancora in grado di catturare passioni, stati d’animo e moti interiori. Mentre la tipologia ben codificata del ritratto d’artista rivela una grande forza introspettiva e soluzioni di assoluta originalità, se pensiamo agli autoritratti di Tominz, Giacomo Trécourt. In un ambito analogo i dipinti di Jean Alaux, Carlo Canella e Angelo Inganni hanno inserito i ritrattati nello spazio privato dei loro atelier. La stessa forza espressiva, insieme a soluzioni compositive inedite, si rivela nei ritratti di Manzoni di Hayez e Molteni, di Byron a Missolungi di Trècourt o nelle straordinarie immagini dei protagonisti delle scene teatrali, come il tenore Giovanni David di Hayez.
Con la metà del secolo, in un momento immediatamente successivo agli eventi fatidici del 1848, le istanze del naturalismo, sovvertendo le valenze ideali del Romanticismo, hanno profondamente rinnovato il genere, dando ascolto alla voce del Vero. Se alcuni artisti di grande valore, come Hayez hanno saputo reggere ancora il confronto con la nuova era e un grande outsider come il Piccio è stato interprete in Lombardia di una grande tradizione che scorre ininterrotta da Leonardo ad Appiani, sarà la Firenze dei Macchiaioli ad offrire in chiave verista gli esiti più significativi. Le straordinarie sperimentazioni di Giovanni Fattori o Silvestro Lega tra gli anni ’50 e ’60 si sono ricongiunte alle indagini naturalistiche di Puccinelli, Giovanni Morelli e Bernardo Celentano.
Mentre il prepotente e conflittuale rapporto che si instaura con la fotografia a partire dagli anni sessanta è ben documentato dalla presenza di Vincenzo Gemito, dagli autoritratti di Francesco Paolo Michetti o di Alessandro Guardassoni davanti alla macchina fotografica.
Dopo l’unità d’Italia il ritratto seguirà straordinari percorsi sperimentali, toccando vertici difficilmente eguagliati nel resto d’Europa. Abbandonando il principio di verosimiglianza e cercando soluzioni inedite per rappresentare il mondo interiore dei ritrattati, la grande e lunga stagione del Simbolismo produrrà capolavori assoluti.
Prima la Scapigliatura di Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni o Medardo Rosso, poi il Divisionismo di Giuseppe Pellizza da Volpedo, quindi il Simbolismo che fa riferimento all’estetismo di Gabriele D’Annunzio ed elabora i nuovi miti della modernità con Giovanni Boldini, Ettore Tito, Mosé Bianchi, Giacomo Grosso, Vittorio Corcos, Cesare Tallone, Emilio Gola, porteranno a nuovi e altrettanto suggestivi esiti sia sul piano compositivo che delle soluzioni pittoriche.
Si raggiungeranno così quei confini che preludono al Novecento, rappresentato in mostra dai dipinti ancora divisionisti, e pertanto proiettati nell’Ottocento, di Giacomo Balla, di Umberto Boccioni e di Gino Severini. In loro la dissoluzione dell’immagine, la rottura delle convenzioni dei generi pittorici e la sovrapposizione del ritratto al paesaggio e alla pittura di figura apriranno la strada al nuovo mondo delle avanguardie. Iniziava così un’altra storia che avrà come centro quella Parigi che intanto aveva accolto come protagonisti lo stesso Severini e un grande italiano come Modigliani.

martedì 7 settembre 2010

Gabriele Boetto

Il percorso di studi di Gabriele Boetto termina nel marzo del 2009 con la discussione della tesi "Osservando Picasso incisore" avvente come relatore Franco Fanelli, docente di grafica, tecniche dell'incisione e storia della gafica all'Accademi Albertina di Torino e vicedirettore de "Il Giornale dell'arte".
Da diversi anni si assite periodicamente ad un annunciato "ritorno alla pittura", in parte come reazione all'accademismo concettuale ed in parte come risposta al mercato che riconosce nel quadro dipinto un oggetto più funzionale al consumo artistico rispetto ad un'installazione o ad una performance.
In verità "il ritorno alla pittura" in questi termini è un terribile malinteso, che diventa evidente quando ci si imbatte in artisti che fanno della pratica pittorica una ricerca assidua. E' il caso di Gabriele Boetto, nel cui lavoro si intuisce il possibile approdo ad una pittura classica, non certo negli esiti formali più esteriori, quanto piuttosto nel superamento di categorie che la pittura intesa nella sua accezione più autentica semplicemente non comprende. Ecco spiegato il rifiuto di un'impalcatura concettuale come sostegno di una pittura addomesticata, che attinge il più delle volte ad un repertorio iconografico appiattito sull'immagine pubblicitaria o televisiva, e perciò rassicurante e digeribile da chiunque. A questa omologazione concettualizzata, Boetto oppone la consapevole visione di una pittura che, in quanto linguaggio autonomo, è intrinsecamente concettuale. In questo senso, non c'è nel suo lavoro la minima ricerca artigianale. La dimensione artigianale appartiene semmai a chi usa la pittura per veicola significati che potrebbero essere efficacemente espressi con altri mezzi, ma che la manualità in qualche modo impreziosisce. Con queste premess, possiamo comprendere meglio la ricerca, che traspare con evidenza nei quadri di Boetto, di un dialogo con artisti storici, come Sironi e Picasso. Un dialogo inteso non come recupero "archeologico" ma come necessità di confronto, non solo sul piano formale ma anche sul significato stesso dell'atto pittorico.
Alberto Goglio

Gabriele Boetto è stato premiato alla recente Biennale d'arte contemporanea di San Martino dall'Argine(evento alla memoria di Gianluigi Troletti)  svoltasi presso la chiesa di S. Maria Annunciata del Comune mantovano. Tale riconoscimento gli è valso inoltre la possibilità di esporre le proprie opere in una personale che si apre il 7 settembre e fino al 26 presso il Museo Virgiliano nel Comune di Virgilio di Mantova.