venerdì 15 ottobre 2010

Jean Siméon Chardin a Ferrara "Palazzo dei Diamanti"

«Ci si serve dei colori, ma si dipinge con il sentimento.» Con queste parole, Jean Siméon Chardin (1699-1779), contrapponendosi alle regole accademiche allora in voga, sintetizzava il suo modo, all’epoca rivoluzionario, di fare arte.

A questo grande protagonista del Settecento, uno dei più straordinari pittori di tutti i tempi, Ferrara Arte dedica dal 17 ottobre 2010 al 30 gennaio 2011 un’importante mostra, la prima mai consacrata all’artista nel nostro paese. L’esposizione è organizzata in collaborazione con il Museo del Prado di Madrid, che la ospiterà dopo il debutto a Ferrara, ed è curata da Pierre Rosenberg, massimo esperto di Chardin, Accademico di Francia e Presidente-direttore onorario del Musée du Louvre.

Chardin è stato uno dei più originali artisti del suo tempo. Egli infatti rifiuta, sin da giovanissimo, i percorsi didattici accademici ed è uno dei pochi a non aver mai effettuato il viaggio in Italia. Inoltre, tra tutti i generi pittorici evita proprio quelli che nella Francia del secolo dei lumi sancivano la fortuna degli artisti, e cioè i dipinti di soggetto storico o mitologico. Nonostante ciò, nel 1728 l’Accademia reale di pittura e scultura – alla quale Chardin aveva sottoposto la sua candidatura presentando le proprie prime impressionanti nature morte – riconosce la sua qualità e lo accoglie nei suoi ranghi come pittore specializzato «nella raffigurazione di animali e frutta». La scelta del genere della natura morta, allora considerato minore, non ne vincola il successo e Chardin si impone presto sulla competitiva scena parigina.

Nel corso del decennio successivo, egli estende la propria ricerca anche alla figura, con esiti ancora una volta impressionanti. Infatti, ad una pittura dedita a rappresentare la contemporaneità attraverso la descrizione della vita di corte, Chardin oppone un’altra realtà: scene di interni in cui i domestici e i rampolli della borghesia francese sono raffigurati nelle più semplici attività di tutti i giorni. Ogni dettaglio ornamentale è bandito, la pittura diviene poesia del quotidiano, un mezzo per esaltare con sensibilità i gesti delle persone comuni che Chardin trasforma in grandi protagonisti della sua epoca. Nascono così capolavori come Il garzone d’osteria, La governante o Il giovane disegnatore ai quali si affiancano le toccanti raffigurazioni delle attività ludiche dei giovani come le Bolle di sapone, la Bambina che gioca col volano o il Bambino con la trottola. In ciascuna di queste opere, attraverso una tecnica pittorica stupefacente, incentrata sul rapporto tra tono e colore e sulla variazione degli effetti di luce, l’artista riesce a trasmettere all’osservatore l’emozione provata di volta in volta di fronte al soggetto.

È con questo spirito che Chardin continuerà a dipingere, anche quando, tornato alla raffigurazione di nature morte, realizza capolavori come il Mazzo di garofani, tuberose e piselli odorosi di Edimburgo, riguardo alla quale Charles Sterling, uno dei più grandi storici dell’arte del secolo scorso, scrisse: «Chardin è con Poussin e Claude Lorrain l’artista francese anteriore al XIX secolo che ha avuto la maggiore influenza sulla pittura moderna. Certe ricerche di Manet e di Cézanne sono inconcepibili senza Chardin. Sarebbe difficile immaginare qualcosa di più “avanzato” nella composizione e nel trattamento pittorico del Vaso di fiori di Edimburgo. Esso sorpassa tutto ciò che dipingeranno in questo genere Delacroix, Millet Courbet, Degas e gli impressionisti. Solo in Cézanne e nel suo seguito si può pensare di trovare tanta forza in tanta semplicità».

Il successo della pittura di Chardin è sancito anche dalle reazioni del pubblico alle tele che l’artista espone al Salon a partire dal 1737. Ad accoglierle con entusiasmo fu anche gran parte della critica, ad esempio una celebrità come Denis Diderot, che nel 1763 osanna pubblicamente il realismo delle nature morte del pittore. Chardin è molto apprezzato anche dal re di Francia Luigi XV, al quale dona la Madre laboriosa e il Benedicite, ricevendo in cambio la stima del sovrano e, nel 1757, il grande privilegio di dimorare e lavorare al Louvre.

Verso il 1770 i problemi di salute lo inducono a rallentare l’attività e ad abbandonare progressivamente la pittura ad olio. Tuttavia, senza perdersi d’animo, l’anziano maestro inaugura una nuova stagione della sua arte dando vita, con la delicata tecnica del pastello, a ritratti di straordinaria intensità psicologica. Con queste opere si conclude la lunga carriera di un artista che per tutta la vita aveva concepito la pittura come un mezzo per conoscere la realtà e rappresentarla, e che, evitando i contenuti aneddotici, ha raggiunto un’arte senza tempo che riflette un’armoniosa perfezione tra forma e sentimento.

L’aver elevato gli oggetti di uso quotidiano e i gesti delle persone comuni a materia di rappresentazione artistica e la sua straordinaria tecnica pittorica fanno di Chardin uno degli artisti più amati da pittori moderni come Cézanne, Matisse, Morandi e Paolini. Per non dire di Vincent Van Gogh che lo riteneva «grande come Rembrandt».

La mostra di Ferrara e Madrid offre l’occasione di ripercorrere le tappe salienti del percorso artistico di Chardin attraverso un’ampia selezione di opere provenienti da musei e collezioni private di tutto il mondo tra le quali emerge, per numero e qualità dei dipinti concessi, ben dieci capolavori, l’eccezionale collaborazione con Louvre.

Fonte: Ministero per i beni e le attività culturali.


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giovedì 7 ottobre 2010

Matteo Massagrande. Mostra

Matteo Massagrande


Diario di un cercatore di bellezza

Domenica 10 ottobre 2010 ore 17.00


San Martino dall’Argine (Mn), Chiesa di Santa Maria Annunciata


Presentazione critica a cura di Paola Artoni

La poetica bellezza della pittura di Matteo Massagrande (Padova, 1959) illumina gli spazi della chiesa di Santa Maria Annunciata a San Martino dall’Argine (Mn). Una mostra che presenta un ciclo di dipinti preziosi realizzati dall’artista, raffinato conoscitore delle tecniche antiche e moderno cantore della bellezza.
Come scrive Paola Artoni nel catalogo che accompagna la mostra: “(…) Per chi, come lui, è seguace devoto della sua autentica vocazione di artista è impossibile non rispondere al richiamo profondo della natura e della pittura. Una pittura stratificata, soffusa, diffusa e increspata, sapiente di disegno, di colore, di cultura, forte di un genius loci che lo arricchisce senza schiacciarlo nel confronto con il passato. È un fascino senza tempo quello che emerge dai suoi dipinti, una malìa che è indifferente alle mode e che, proprio per questo, è sempre attuale ed emozionante. Nel bosco il mistero è nell’intreccio di un ramo, è nell’andamento dello sguardo che cerca di pacificarsi e riconciliarsi con la natura, con la sua sofferenza e con le sue quotidiane rinascite. Lo sguardo dell’artista è un’azione di presa di coscienza, è il comprendere di essere una parte dell’universo, una scintilla del Divino, un pur flebile riflesso della Vita che pulsa in ogni angolo della Creazione. Talvolta compare la figura umana, a interrogare come una cartolina dal passato sul senso delle proprie radici, altre volte tale figura, anche se non presente, è evocata, in una necessaria riscoperta della sostanza dell’essere. E se non sono i volti a parlare, le metafore delle vite sono le città cariche di vapori e gli interni domestici, case deserte ma con le porte e le finestre socchiuse, con i muri che hanno registrato le impronte di vite passate, silenziose testimoni di abbandoni, saluti, ritorni. Il fluidificarsi del tempo è un’atmosfera rarefatta, sommessa, vagamente inquieta, è il mondo in una stanza che sembra risuonare delle voci di chi l’ha abitata. La luce filtra dalle finestre e si distende sui pavimenti ed è chiaro che il suo senso non è mera connotazione estetica ma sostanzialmente poetica. Quello che a noi resta è la fiducia e capita allora che il dialogo con l’opera diventi veramente profondo: ci lasciamo piano piano condurre dall’artista, accettiamo di placare ansie assaporando l’intima essenza delle cose. Sfogliando le pagine di un breviario minimo, comprendiamo che per Massagrande la natura morta adagiata su un tavolo da cucina è, in realtà, una natura “viva” e che la bellezza delle cose ama nascondersi o meglio, come affermava Eraclito, “l’intima natura delle cose ama nascondersi”. E ci si commuove pensando che questa bellezza sta racchiusa nella rotondità di una mela dalla buccia rossa e che, in fondo, in un semplice vaso di fiori c’è bellezza, vanitas, anelito all’eternità. Massagrande è un saggio, innamorato della terra d’Ungheria e contagiato in questo amore dalla sua compagna di vita, un pellegrino nel mondo che sa che ogni partenza è una discesa nell’abisso di sé stessi, nell’oscurità delle grotte dove si nascondono i mostri dell’anima, laddove si consuma la lotta estenuante con le paure che tolgono il respiro con i loro denti aguzzi e voraci. E ogni viaggio è lo scontro con il limite dell’angoscia, l’abbandono delle proprie certezze per diventare altro. Eppure nessuna traccia della metamorfosi sofferta della crisalide si coglie nelle ali leggere e trasparenti nel sole della nuova farfalla… Solo chi possiede questa coscienza ha la possibilità di volare alto come un’aquila, sentirsi una parte di questo pianeta e, al tempo stesso, distaccato dal mondo e rivolto verso l’eternità, commosso e appagato davanti alla goccia di rugiada scintillante sulla spiga di grano”.


Biografia artistica
Matteo Massagrande vive tra Padova e Hajòs (Ungheria), ha esordito nel 1973 partecipando a mostra collettive e a concorsi, ottenendo numerosi premi e riconoscimenti, tra i quali il Premio Internazionale Città di Pordenone 1980, il Premio Rizzoli per la grafica 1982, il Premio Burano di pittura 1986; il Premio Under 35 alla Terza Biennale d’Arte Sacra di Venezia 1987 (primo premio). Tra le mostre personali in sede pubbliche si ricordano nel 1992 quella presso la Fondazione Ghirardi a Villa Contarini, Piazzola sul Brenta con catalogo a cura di Giorgio Segato; nel 1995 a Palazzo Crepadona di Belluno Opere 1974-1994 con catalogo a cura di Paolo Rizzi, e nel 1996 a Palazzo Sarcinelli, Conegliano, Opere 1986-1996 , con catalogo a cura di Marco Goldin edito da Electa. Nel 1995 il Museo Civico di Padova dedica una mostra antologica presso l’oratorio di San Rocco, Incisioni 1974-1994, con catalogo a cura di Giorgio Segato. Nel 1997 a Casa dei Carraresi, Treviso, Opere su carta, con catalogo a cura di Marco Goldin edito da Marsilio. Nel 1997 Civiche Gallerie di Arte Moderna e Contemporanea, Ferrara, catalogo a cura di Franceso Loperfido edito da Corbo Editore. Nel 1998 con catalogo edito da Electa con testi di Enzo Siciliano, a cura di Marco Goldin, Incisioni 1974-1998 Casa dei Carraresi, Treviso. Nel 1999 Museo delle Mura di Borgotaro. Parallela a quella pittorica si è sviluppata l’attività grafica iniziata già nel 1974, sottolineata dalla presenza in numerose collettive di prestigio: nel 1984 Collezione grafica della Fondazione Bevilacqua La Masa, Venezia; nel 1998 Incisori trevigiani del Novecento a Palazzo Sarcinelli, Conegliano; nel 1992 Gabinetto delle Stampe dell’Accademia di Scienze e d’Arte di Zagabria, nel 1993 Prima Biennale dell’incisione Romeo Musa e Repertorio degli incisori italiani al Gabinetto delle Stampe Antiche e moderne, Bagnacavallo, Ravenna. Nel 1989 ha illustrato il libro Passato prossimo, edito dal Rotary Club International. Nel 1991 ha illustrato la raccolta Ne Tisini con poesie di Giorgio Segato, edito da Biscupic, Zagabria. Nel 1993 illustra il racconto Cercando Sisol, di Ermanno Olmi. Nel 1998 illustra il racconto di Fulvio Tomizza Le stelle di Natale. Recentemente alcune sue incisioni sono entrate a far parte del Gabinetto delle Stampe degli Uffizi di Firenze. Ha all’attivo oltre cento personali in Italia e all’estero. Le sue opere si trovano in numerosi musei, chiese, collezioni pubbliche e private.


Matteo Massagrande
Diario di un cercatore di bellezza
Inaugurazione domenica 10 ottobre 2010 ore 17.00
San Martino dall’Argine (Mn), Chiesa di Santa Maria Annunciata
Presentazione critica a cura di Paola Artoni. Catalogo in mostra
Apertura sino al 7 Novembre 2010 il giovedì e il sabato dalle ore 16.00 alle ore 19.30; domenica e festivi dalle ore 10.30 alle 12.30 e dalle 16.00 alle 19.30
Organizzazione: Galleria d’arte moderna STUDIO 10, via Garibaldi, 1 San Martino dall’Argine (Mn)
Info: tel: 0376-919360, cel: 339-2069027, galleriastudio10@tele2.it

lunedì 4 ottobre 2010

ALDO MONDINO. Maestro di Fantasmagorie. Segnalazione mostra


COMUNICATO STAMPA

A partire dal 20 novembre 2010, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) dedicherà una personale al grande artista torinese Aldo Mondino, senza dubbio uno degli artisti italiani più eclettici della sua generazione, tra i principali protagonisti della sorprendente stagione creativa degli anni Sessanta del capoluogo piemontese. Poliedrico, dotato di una vasta e profonda cultura internazionale, di uno sguardo ironico capace di partorire doppi sensi eleganti e raffinati, e, soprattutto, di una curiosità instancabile, Mondino non ha mai cessato di reinventare se stesso e la propria arte durante tutto l’arco della sua carriera. Il suo percorso artistico è stato segnato da un fluire costante di ispirazioni sempre nuove, di influenze disparate che l’artista è stato in grado di assorbire, metabolizzare e successivamente riproporre attraverso il suo stile originale ed inconfondibile; dai primi passi parigini mossi presso l’Atelier 17 del pittore surrealista ed espressionista William Heyter, e gli studi sul mosaico fatti sotto la guida del futurista Gino Severini, per poi passare attraverso una fase citazionista dai forti richiami pop, e il successivo periodo orientalista nato negli anni Settanta con la serie King e proseguito con quella dei Dervisci e con le sperimentazioni formali estrose ed audaci. Proprio questo suo essenziale gusto per lo studio manipolatorio di materiali e medium artistici innovativi, ma mai distaccati dalla realtà quotidiana – sua fonte di ispirazione primaria sin dai tempi delle frequentazioni dell’artista con il gruppo dei poveristi –, lo ha portato a realizzare le famose sculture in cioccolato e zucchero di canna, o le opere fatte con confezioni di torrone, selle da cavallo o aringhe affumicate.

A cinque anni dalla sua morte, il MACA – grazie alla collaborazione con la Fonderia di Walter Vaghi e con il patrocinio dell’Archivio Mondino – ospiterà nei suoi spazi una collezione di venti opere di grandi dimensioni, tra sculture e dipinti, e una serie di gioielli, in grado di veicolare alla perfezione il carattere poliedrico, arguto ed esotico del grande artista torinese.
Riecheggiando un verso di Arthur Rimbaud, anche Mondino potrebbe essere definito un “maestro di fantasmagorie”, un artista che attraverso le sue opere affascinanti, ironiche e seducenti, sembra rivolgersi al suo pubblico come faceva il poeta francese in Notte all’Inferno: “Ascoltate!... Ho tutti i talenti!”




Mostra: ALDO MONDINO. Maestro di Fantasmagorie
Curatore: Boris Brollo
Luogo: MACA (Museo Arte Contemporanea Acri)
Palazzo Sanseverino – Piazza Falcone, 1, 87041, Acri (Cs)
Vernissage: 20 novembre 2010 ore 17:00
Periodo: dal 20 novembre 2010 al 20 febbraio 2011
Orari: tutti i giorni tranne il lunedì; h:10-13 15-19
Info: museo tel. 0984953309; ufficio stampa tel. 0119422568;
e-mail: maca@museovigliaturo.it
internet: http://www.museovigliaturo.it/